Il non-profit in Italia oggi: un valore da 93 miliardi e le grandi sfide che attendono il Terzo Settore
L’economia sociale in Italia non è più un fenomeno di nicchia. È una componente strutturale del tessuto economico e civile del Paese. Secondo stime recenti, il settore non-profit italiano può “valere” circa 93 miliardi di euro — un dato che non deve essere interpretato come “fatturato equivalente” ma come una misura della ricchezza sociale generata, del contributo a welfare, coesione, inclusione.
Ma dietro questo numero imponente si celano sfide complesse: governance, sostenibilità finanziaria, innovazione digitale, misurazione dell’impatto, relazioni con istituzioni e mercato. In questo articolo ne esploriamo alcune, offrendo spunti e riflessioni per chi, come COINSIEME, vuole essere protagonista di un cambiamento più equo e partecipato.
1. Oltre il valore monetario: il senso e l’impatto sociale
Misurare il non-profit in termini “economici” serve a mostrare ai decisori e al grande pubblico che il Terzo Settore “conta” — ma ciò che davvero ha valore è l’impatto sociale: quante persone sono state coinvolte, quante opportunità create, quanta diminuzione di marginalità e isolamento.
Un ente che opera per l’inclusione di persone con disabilità non “fattura” come una azienda, ma genera capitali sociali — fiducia, reti, autonomie, benessere — che non si vedono nei bilanci ordinari. L’obiettivo è che tali valori escano dall’ombra e siano riconosciuti dai policy maker e dal sistema economico vero e proprio.
2. Sostenibilità: tra risorse pubbliche e mercato
Molti enti non-profit dipendono (anche troppo) da contributi pubblici, bandi e fondi occasionali. Questo crea fragilità: quando il flusso si interrompe, i progetti rischiano di bloccare.
Per questo serve una strategia ibrida:
La sfida è far convivere mission sociale e sostenibilità economica, senza che una annulli l’altra.
3. Governance e professionalizzazione
Molte realtà sono nate dal volontariato, dalla passione, e rimangono legate a strutture familiari o informali. Ma quando le dimensioni crescono, serve una governance forte, trasparente, che sappia gestire persone, finanze, rischi, compliance normativa.
È importante:
Una governance solida è uno strumento per crescere, attrarre fiducia, sicurezza e finanziamenti.
4. Innovazione digitale e dati
Nel mondo contemporaneo non si può ignorare la potenza del digitale:
Per le organizzazioni del Terzo Settore, investire in competenze digitali e infrastrutture è ormai una condizione di sopravvivenza, non un’opzione.
5. Misurazione e rendicontazione dell’impatto
Uno dei punti più delicati: come dimostrare che i progetti sono efficaci? Non basta dire “abbiamo aiutato 100 persone”; bisogna mostrare cosa è cambiato nelle loro vite, con indicatori qualitativi e quantitativi.
La “contabilità sociale” e i bilanci di missione sono strumenti utili, ma richiedono cultura e metodo, nonché standard condivisi per poter essere confrontabili e credibili.
6. Relazioni con istituzioni, mercato e politiche pubbliche
Il Terzo Settore vive in tensione tra l’essere autonomo e l’interagire con istituzioni (Stato, Regioni, Comuni), con il mondo delle imprese e del mercato.
Occorre:
7. Inclusione interna e rappresentanza
Non basta operare per le fasce fragili: le organizzazioni stesse devono essere inclusive, pluraliste, trasparenti, evitare rischi di autoreferenzialità. Occorre promuovere partecipazione, rappresentanza reale delle persone coinvolte, democrazia interna.
8. Verso il futuro: proposte e strategie
Ecco alcuni suggerimenti che COINSIEME e altre organizzazioni possono valutare:
Il “valore” di 93 miliardi è un dato che sorprende e induce a riflettere: il Terzo Settore è già un pilastro del sistema Italia. Ma ciò che serve adesso è uno scatto culturale e strategico: strutturarsi, innovarsi, dialogare, misurare, unire le forze.
Per COINSIEME e per ogni realtà che crede nella dignità, nella partecipazione e nella giustizia sociale, è tempo di giocare un ruolo da protagonisti, con coraggio e visione.